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      CHERNOBYL

VOCI DAL PASSATO

Aprile 2019:

a strada corre dritta davanti a noi, ai lati ci sono grandi foreste interrotte da alcuni campi coltivati e da alcune case modeste, ci siamo lasciati alle spalle Kiev, la capitale ucraina e siamo diretti verso la “zona di esclusione”, quel perimetro istituito dal governo e presidiato dai militari che si estende intorno alla centrale nucleare di Chernobyl per un raggio di 30km.

Quando arriviamo al primo checkpoint dell’esercito escludendo noi ed i soldati non vi sono altri segni di vita, il cielo è grigio, ed anche se è primavera fa piuttosto freddo, da quel tragico 26 Aprile 1986 sono passati esattamente 33 anni. Da allora in queste zone nessuno può ne potrà abitare per i prossimi 24.000 anni a causa dell’alta radioattività generata dall’esplosione del reattore nr.4 e dalla ricaduta nucleare nei terreni circostanti.

Proseguendo dopo i controlli di turno giungiamo a Prjpyat, la città principale della zona, che dista solo 3km dalla centrale e che oggi è totalmente disabitata.

Camminare per le strade di Prjpyat è una esperienza surreale, qui l’orologio si è fermato e l’ unico indizio che fa capire quanto tempo sia trascorso lo fornisce la natura che al contrario degli umani ha saputo adattarsi alle radiazioni e si sta riprendendo gli spazi che l’uomo gli tolse.

Guardando i palazzi spettrali che ci circondano ci si illude che qualcuno si possa affacciare ad una finestra magari per salutarci, invece qui non c’è più nessuno, furono tutti evacuati con un colpevole ritardo di 36 ore che ebbe la tragica conseguenza di fare assorbire ai quasi 50.000 abitanti una quantità di radiazioni in molti casi letale.

Fu detto loro di portare il minimo indispensabile perché secondo le autorità sovietiche entro tre giorni sarebbero tornati a casa, invece nessuno vi rimise mai più piede.

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Prjpyat era abitata in gran parte dai lavoratori della centrale e dalle loro famiglie, era considerata la città ideale dell’Unione Sovietica.

Costruita nel 1970 insieme alla centrale nucleare, era moderna, efficiente e con tutti i servizi necessari.

In città vi erano alcune palestre, la piscina, un auditorium, un ospedale, biblioteche e varie scuole per i bambini dato che l’ età media degli abitanti era di soli 27 anni.

Il tristemente famoso luna park che doveva essere inaugurato per la festa del 1 Maggio 1986, non entrò mai in funzione, ed è ancora lì a testimoniare la voglia di vivere di una città giovane che morì

maledettamente troppo presto.

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Proseguiamo il nostro viaggio, entrando nel vero e proprio cuore del “mostro”: la centrale nucleare Vladimir Lenin di Chernobyl. Iniziata a costruire nel 1970 ed entrata in funzione ad inizio anni ’80, contava quattro reattori attivi più altri due in fase di costruzione che furono abbandonati dopo l’incidente causato da un test fallito.

Il reattore nr.4 è attualmente stato sigillato sotto un enorme sarcofago ad arco per contenere le radiazioni, dato che la vecchia protezione risalente al 1986 si stava ormai sgretolando. Sotto di esso il nocciolo radioattivo continua ad essere altamente pericoloso, e ad oggi non esiste alcuna soluzione risolutiva se non il contenimento in loco.

Visitare la centrale trasmette un senso di claustrofobia, i lunghissimi corridoi paiono interminabili e nelle sale di comando piene di bottoni si respira l’aria rarefatta dei film di fantascienza degli anni ’70, invece è tutto vero ed il cicalino del contatore geiger che misura la radioattività rompe il silenzio ricordandoci che li dentro è sconsigliabile restarci troppo a lungo.

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La centrale è attualmente in decommissionamento, spenta dal 2001 richiederà un lavoro di circa 40 anni per la messa in sicurezza, ad oggi ci lavorano circa 2.500 operai che abitano in gran parte a Slavutyc, città creata appositamente dopo il disastro nucleare che resta fuori dalla zona contaminata dove risiedono circa 20.000 persone.

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Nella zona contaminata si trova anche una base militare sovietica che ufficialmente non esisteva sulle carte, all’interno di essa si trova la Duga (arco in russo), un antenna radar O.T.H. (over the horizon) che veniva utilizzata durante la guerra fredda per intercettare eventuali missili balistici offensivi lanciati dalla N.A.T.O. Il segnale della Duga, continuo ed in bassa frequenza gli valse il soprannome di “picchio” (woodpecker).

Alta 115mt e lunga quasi un km, una volta giunti sotto di essa ci si domanda se provenga da un altro pianeta, non è difficile capire vedendola che ci vollero ben 6 anni per costruirla. Anch’essa abbandonata a causa della radioattività, resta un arrugginito monumento della follia militare  precedente alla caduta del muro di Berlino.

Nella sale di comando, ormai distrutte, sembra di essere in un romanzo di spionaggio e si stenta a credere che tutto ciò sia reale.

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Una delle cose che stupisce visitando la base sono i palazzi adiacenti in cui vivevano i militari con le loro famiglie, un villaggio completo di tutto, dal cinema alla palestra, dalle scuole ai giochi per i bambini da cui però non si poteva entrare o uscire a causa della sua segretezza.

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Chernobyl, piccolo paese appena fuori dalla “Zona di esclusione” è ormai in buona parte disabitato, visitandolo si trovano oltre all’ unica statua di Lenin rimasta in Ucraina alcuni memoriali che riguardano la tragedia del 1986.

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Uno è dedicato a tutti i paesi che furono evacuati, abbattuti ed interrati con le ruspe per tentare di contenere i livelli di radiazione.

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Un altro memoriale invece, che si trova nella città di Slavutyc, commemora gli operai che quella notte erano di turno in centrale e che pur sapendo di essere esposti a radiazioni letali, decisero di non lasciare le proprie postazioni per senso del dovere e che tentarono l’impossibile cercando di spegnere il reattore o quantomeno di limitarne i danni.

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Un ruolo determinante lo ebbero inoltre, nei giorni e nei mesi successivi, quelli che vennero definiti i “liquidatori”, ragazzi dell’ esercito, vigili del fuoco e volontari che con protezioni spesso inefficaci, facendo uso di ogni mezzo disponibile, dai badili, alle ruspe, agli elicotteri, si prodigarono per risolvere una situazione drammatica. Situazione che se non fosse tornata sotto controllo avrebbe potuto innescare una seconda esplosione ben più grave, che avrebbe reso inabitabile mezza Europa.

Sono eroi silenziosi, di cui nessuno si ricorda, dopo la caduta dell’ Unione Sovietica hanno addirittura perso il diritto alla pensione e quei pochi sopravvissuti vivono in povertà non potendo lavorare a causa di uno stato di salute precaria dovuto alle radiazioni subite.

Senza di loro molti di noi oggi non sarebbero qui, il monumento

che li ricorda a Chernobyl recita:

“A coloro che salvarono il mondo”

                           

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Non esiste un numero ufficiale di vittime, ci sono varie stime che vanno dai 30.000 ai 60.000 morti secondo l’ O.N.U. ai 6 milioni di morti a lungo termine secondo Greenpeace, il vero problema è che tuttora nei paesi limitrofi si muore per malattie direttamente collegate alle radiazioni ed una parte di chi nasce, ancora oggi e per molti anni a venire continuerà ad avere problemi di salute causati da modifiche al D.N.A. che sono ereditarie.

 

Camminando per le vie deserte di Prjpyat, mentre il vento muove gli alberi e fa cigolare porte e finestre, sembra di sentire delle voci che arrivano dal passato, di chi qui una volta viveva felice con la propria famiglia e si stava costruendo un futuro, voci che urlano di prestare attenzione perché tutto questo non accada mai più.

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Si ringraziano:

Francesca Dani per averci accompagnato e guidato con passione nella "Exclusion Zone", insieme ai miei compagni di viaggio con cui ho condiviso questa toccante e bellissima esperienza.

Svetlana Aleksievic, il cui libro "Preghiera per Chernobyl" mi ha fatto prendere coscienza di quali terribili sofferenze subirono le popolazioni interessate dallo scoppio del reattore.

Igor Kostin, che nonostante i rischi per la sua salute non smise mai di fotografare e documentare ciò che accadde, le cui immagini tremendamente reali mi hanno fatto decidere che un giorno laggiù, per provare a trasmettere qualcosa al prossimo con le mie fotografie ci sarei andato anche io...

Simone Grossi

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Articolo apparso su il quotidiano "Il Giorno" del  3-7-2019

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Per aiutare i bambini della Bielorussia e dell'Ucraina che abitano nelle più colpite dalla ricaduta di sostanze radioattive di Chernobyl, e che soffrono ancora oggi di gravi problemi di salute direttamente collegate a quel tragico evento, collaboro con la fondazione "Dona un sorriso Cerano" che si occupa di portare in italia per alcuni mesi i ragazzi affetti da problemi di salute per fornirgli un aiuto economico e socio sanitario.

Per chi volesse saperne di più o fare una donazione queste sono le coordinate:

 

DONA UN SORRISO CERANO PAGINA FACEBOOK

Dona un Sorriso - via Vigevano, 23 - Cerano:

IT68 U030 6909 6061 0000 0076 993 

Intesa Sanpaolo spa - filiale di Milano

Anche un piccolo aiuto può fare molto, grazie.

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